Claudio Chiappucci a Bicizen: “Cosa mi piace ancora del ciclismo di oggi”

Abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con un uomo che ha fatto la storia del ciclismo, Claudio Chiappucci.

Uomo straordinario e con una personalità al di sopra della media ci ha spiegato diverse cose interessanti legate ai suoi tempi e a oggi.

Intervista a Claudio Chiappucci
Claudio Chiappucci intervista (ANSA) Bicizen.it

Cosa fa Claudio Chiappucci oggi a 25 anni dal ritiro dai professionisti?
“Dal 1999 non ho mai mollato il settore bici, ho continuato a pedalare e a vivere pubbliche relazioni di anno in anno sempre di più. Sono rimasto sempre impegnato in vari settori non solo della bici, anche qualsiasi altro sport che non potevo fare quando ero atleta. Così ho conosciuto tante altre persone e tanti altri mondi. Questo mi porta dentro eventi non solo in Italia ma anche all’estero. Ho anche tre Gran Fondo che portano il mio nome anche in Francia e sono soddisfatto”.

Cosa le è rimasto della sua vita da professionista?
“Mi è rimasto tutto quello che mi ha insegnato. È da quando avevo 14 anni che pedalavo e mi ha dato tanta cultura, tanti insegnamenti di vita. Ho costruito tanto della mia vita professionale e continuo a rimanere attaccato alla professione. C’è un’evoluzione tecnologica in tutto ed è importante per non perdere il filo, rimanendo sul pezzo per gli eventi e le gare. Questa è una delle mie motivazioni”.

In carriera la chiamavano El Diablo. Perché? Le piaceva?
“Una parola ricorrente e che tutti mi chiedono se mi piace, perché me l’hanno dato. È nato per caso in un Classico Rcn, nel giro di Colombia, e loro me l’hanno dato. Vedevano in me un attaccante in me, mai domo e sempre pronto a fare qualcosa di diverso rispetto agli altri. Non era facile correre coi colombiani e hanno visto in me un diavolo scatenato. È continuato sull’onda dell’Europa con questo soprannome che ha preso piede e continuo ad apprezzarlo. Ha fatto parte della mia storia e del mio essere. È più raro che mi giro quando mi chiamano Claudio, più facile se mi chiamano Diablo. Anche chi non mi conosce come corridore mi chiama così e mi fa piacere”.

Qual è stata la sua gioia sportiva più grande?
“Ci sono stati tanti momenti anche quelli difficili che mi hanno aiutato a rientrare più forte. Se guardo alla mia carriera il momento più bello è stato quando ho preso la prima maglia gialla visto che ho capito quanto stavo facendo e quanto ero apprezzato. Me ne sono reso conto personalmente anche per la pressione ed è stato importante capire che riuscivo a reggerle. Uscire dai problemi mi ha aiutato a voler per forza arrivare, non sapevo dove sarei arrivato ma ho la soddisfazione di essermi riuscito a trovare il mio spazio ed essere riconosciuto al di là delle vittorie per le mie caratteristiche. Era uno stimolo che mi dava forza per fare quello che a volte era impensabile se parliamo di certe fughe”.

Cosa invece le è mancato?
“La perfezione non esiste e qualcosa deve sempre mancare. Mi è mancata una grande classifica in un Grande Giro negli anni delle grandi cronometro e ci hanno tenuto lontane dal grosso risultato, Indurain era imbattibile solo quattro tappe di cronometro non mi hanno aiutato. Questo mi ha forgiato come carattere per cercare a capire come venirne fuori e di tentare a prendere rischi per far saltare anche il banco. E poi il Mondiale, uno avrei voluto vincerlo quello di Agrigento. Le cose non sono andate come dovevano andare, ma sento che mi apparteneva”.

Chiappucci, Indurain e i ciclisti d’oggi

Continua così Claudio Chiappucci.

Intervista Chiappucci
Chiappucci e Indurain, intervista a Claudio (ANSA) Bicizen.it

Il suo rivale di un tempo Indurain ha dichiarato “I ciclisti oggi misurano anche il cibo, io mangiavo i panini preparati dai meccanici”. Lei cosa mangiava in preparazione delle gare?
“L’alimentazione è cambiata tanto nel ciclismo moderno. Ho visto l’evoluzione anche io mangiavo i panini come Indurain, non c’erano barrette e poca integrazione. Andavamo sulla semplicità del panino con la marmellata o il miele e a me piaceva col prosciutto che era più proteico e con la nutella. Per integrare il sale si usava bere anche il sale normale da cucina. Oggi è molto più preciso ed equilibrato lo stile, di qualità. Noi abbiamo fatto parte dell’esperienza per dare il futuro al ciclismo”.

Che ricordo ha di Indurain e delle vostre sfide?
“Con lui ci sono state tante sfide, abbiamo monopolizzato gli anni novanta soprattutto con le corse a tappe. Sapeva destreggiarci ovunque. Mi ricordo benissimo la prima volta in fuga con lui da solo e ho vinto la tappa lui ha messo la maglia gialla e io quella a pois. Ho capito per la prima volta chi era, una lunga fuga di 50 km senza mai parlare ed era rarissimo. Non ci conoscevamo ancora bene. Ho capito con quella fuga chi era. Poi sono state tantissime le sfide, l’idea era quella di staccarlo in salita o anticiparlo nelle strategie di corsa per metterlo in difficoltà”.

In che stato di salute è il ciclismo oggi?
“Il ciclismo attuale è completamente diverso dal nostro. È cambiata l’interpretazione delle corse, la preparazione, la mentalità, la tecnologia. Non c’è più nulla quasi dell’epoca. Il calendario anche è molto più ricco e globalizzato. Le corse che contano però sempre quelle cioè i Grandi Giri e le Classiche Monumento. Ho la sensazione però di vedere ragazzi molto stanchi a una certa età, non fisicamente ma mentalmente vuol dire che hanno un impegno notevole. Lo stress della corsa e della preparazione e degli allenamenti, cosa impensabile nei nostri anni”.

Chi è il suo ciclista preferito oggi?
“Negli anni a cui arrivavo al professionista il ciclista che avevo una visione particolare diversa era Bernard Hinault, un atleta che sa destreggiarsi quando è da solo. A oggi tendenzialmente quello che mi assomiglia di più e riprende la storia dei nostri anni è Pogacar che è completo e sempre sorridente, scherzoso, non è sempre con quell’aria seria che hanno molti corridori. Quando decide di partire sa fare la differenza ed è polivalente”.

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